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Vitale Michele

 

Vitale Michele

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Ho 81 anni, quasi 82.
La passione per il canto mi è venuta da piccolo perché mio padre è stato uno dei primi cantanti della chiesa di San Michele, aveva una voce da baritono. Io riconosco i vari tipi di voce di chi canta a secondo dell’armonia e del tono.

Lui mi diceva: stai vicino a me e impara tante belle cose. Lui quando cantava in chiesa era accompagnato dalla musica della famiglia GALETTA: Micchio, Minguccio, Ciccillo, erano tutti organisti. Papà non mancava mai e se mancava lui non dicevano neanche la messa. Papannino, il prete, diceva: è venuto Mest Luca? In chiesa c’era il palco dove cantavano e non c’era microfono ne niente.

Quando cantava mio padre, dal palco, si sentiva l’armonia in tutta la chiesa e veniva sempre accompagnato dai musicisti ma lui non sapeva leggere la musica, come me, che non so leggere la musica, ma le partiture gli sono sempre piaciute ed ha sempre continuato a cantare in chiesa. Poi ha fatto parte della commissione musicale del concerto bandistico di S. Michele e lui mi portava sempre con se ha sentire le opere. Quindi, da quando avevo 13, 14 anni, mi portava a sentire i concerti della banda di S. Michele dove lui, però, non cantava in quanto lo faceva solo in chiesa.

Il Grande Concerto Musicale si esibiva in piazza durante la festa patronale. Della banda faceva parte Nuccio Sciacculient, che era prima tromba (la cornetta dicevamo noi), Peppo Rosmindo, Nuccio Ciciriello che aveva il trombone tenore ed altri. Poi a poco a poco la banda si è sciolta ed ora sono rimasti pochi musicisti.
Verso la fine degli anni 30 la banda vinse un premio a Mesagne dove aveva gareggiato con la banda dell’esercito di Bari ottenendo un grande successo.
Mio padre quindi cantava solo in chiesa e voleva che anche io facessi lo stesso ma gli dissi che a me le canzoni della chiesa non mi interessavano, non mi piacevano. Intanto era arrivata la radio ed io ascoltavo sempre le grandi opere: La Traviata, Il Rigoletto, e stavo tre-quattro ore a sentire queste opere che mi entusiasmavano. Mi venne il desiderio di provare anche io a cantare quelle arie.

Piano piano col passare degli anni sono riuscito ad avere le partiture di molte opere facendomele mandare dalle edizioni musicali, mi procuravo anche le cassette e da solo le cantavo provando e riprovando fino a che le ho cantate anche con i professionisti quando avevo già 30, 40 anni. La romanza della Cavalleria, il Rigoletto ecc. le ho fatte in quell’epoca ed anche qualche anno fa con Stefanino Bellanova che mi ha portato persino in provincia di Bari.

Facevo quindi da solo ma, contemporaneamente, con qualche amico che aveva la chitarra e l’organetto a quattro bassi abbiamo passato più di quaranta cinquanta anni di vita facendo serenate in tutte le case e alle feste da ballo popolari. Abbiamo fatto sentire a tutti i sammichelani le più belle opere che si sentivano alla Scala di Milano, facendo divertire la popolazione. Mio cugino, il Professore Stefano Cavallo, che, dopo tanti anni tornò a S. Michele, quando mi ascoltò mi voleva portare a Milano per farmi conoscere in quegli ambienti. Ma io ero già grande e non volevo andare. Intanto mi esibivo con alcune bande, per esempio con il Maestro Ciraci di Villa Castelli. Questo è accaduto dopo che son tornato dalla guerra.

Infatti, a diciotto anni sono andato in guerra in Africa e fui fatto prigioniero dagli inglesi e portato in Palestina dove incontrai un altro prigioniero che suonava la chitarra e sentendomi cantare mi disse che cantavo bene. Era uno della banda militare e mi volle insegnare la romanza della “Furtiva ladra” perché lui sapeva suonare ma non aveva una bella voce. Io avevo sempre fatto da solo a S. Michele e quando mi hanno conosciuto mi invitavano a cantare, mi invitavano ai battesimi o alle piccole festicciole dove non c’era niente, nemmeno una chitarre, ne altro.

C’era un mio nipote che era innamorato dell’armonica che si chiama “zaza” che da solo prova e riprova. Sotto una pianta di fico “formò” la canzone ZAZA’ e con lui andavo a tutti i festini che si facevano a San Michele. Ora le feste si fanno in piazza, ma allora si allestiva una rimessa con i coriandoli e si ballava.

Ritornando al periodo che fui prigioniero in guerra, questo sergente maggiore che suonava la chitarra mi insegno anche la romanza “Dormi Dormi ”e la cantai per la prima volta in prigionia. Questa è facile da accompagnare anche per voi. Poi l’ho anche cantata a S. Michele, invece non sono stato mai appassionato agli stornelli o alle serenate popolari.

In guerra mi insegnarono l’alfabeto Morse, punti e linee, ed ero addetto alle trasmissioni. Quando stavo in prima linea stavo in un buco sottoterra dove con la radio tenevo i contatti con i comandi. Siamo stati molti mesi in Africa e poi arrivò un forte attacco degli inglesi. Noi abbiamo resistito su una linea di cento Km e gli inglesi ripiegarono finché abbiamo attaccato e abbiamo riconquistato Tobruk (Libia). Nel porto della città c’era la più grande nave militare italiana e gli inglesi con astuzia riuscirono ad affondarla. Senza la protezione di questa nave gli inglesi ci attaccarono e cominciò la nostra fine. Battaglie dure giorno e notte finché siamo retrocessi a Bendasi, sempre combattendo in mezzo alle cannonate, che, ringraziando Dio, mi hanno sempre risparmiato. Intanto c’era l’ottava armata inglese che ci voleva prendere alle spalle e ci siamo di nuovo ritirati, questa volta, a Tripoli. Mentre ripiegavamo a Tripoli, la macchina del generale e di tutti gli ufficiali che lo seguivano, fu centrata da un caccia bombardiere inglese e morirono tutti. Restammo senza generale e senza colonnelli: tutti morti. Siamo arrivati a Tripoli e abbiamo fatto una linea di difesa. Abbiamo dovuto ripiegare in Tunisia per l’ultima difesa ma fummo sconfitti e fatti tutti prigionieri. Noi avevamo nei campi di prigionia gli inglesi che furono liberati e al loro posto ci misero noi. Grazie all’aiuto degli americani ci hanno battuto ma gli americani hanno riconosciuto il nostro coraggio nel difenderci per tre anni. E poi loro in tre giorni si sono mangiati tutta l’Italia, alla faccia di tre anni di guerra in Africa. Sono stato tre anni in campo di concentramento dove ci facevano lavorare “agli indumenti militari”. Fui fortunato perché un ufficiale americano voleva un esperto dell’alfabeto morse e a me diedero l’incarico di sorvegliare un punto vicino all’aeroporto militare (un incrocio) dove dall’aeroporto mi segnalavano con l’alfabeto morse l’arrivo degli aerei ed io dovevo subito accendere il segnale rosso per fermare il transito dei camion da quell’incrocio che poteva essere pericoloso per gli aerei che volavano bassi. Fui fortunato quindi che stavo con gli americani: mangiavo bene, vedevo il cinema (stava anche il teatro). E proprio al teatro ho cominciato a cantare “O sole mio”. Ormai ero amico degli americani e uno di loro una sera mi portò a cantare “O sole mio” in un accampamento di donne militari americane. Tutte battevano le mani e questa canzone l’ho sentita cantare con le mie orecchie anche in Palestina. Quindi le canzoni belle italiane (La traviata, O sole mio ecc.) giravano tutto il mondo. Non come ora che a San Remo … me ne vado subito a dormire che...

Un ufficiale mi voleva portare in America perché diceva che avevo la voce come Caruso. Tornai dalla prigionia con una nave che ci sbarcò a Napoli da dove ognuno tornò alle loro case. Quando sono tornato a casa non tenevo più ne una giacca ne un vestito, niente. Abbiamo fatto qualche sacrificio e ci siamo fatti un paio di pantaloni per uscire e comunque, la grande fortuna è essere tornati. In fondo in Palestina ho visto cose che non avevo mai visto: film italiani, canzoni italiane e cioccolata grossissima. Sono tornato con una grande passione per la musica e le canzoni.

Il sentire le canzoni in quel periodo mi spinse a voler anch'io cantare sempre meglio. Una volta, prima della guerra, stavo in campagna a raccogliere il grano e stavo canticchiando “la traviata” ma senza parole, che non le sapevo, cantavo solo l’aria. Mio padre disse: “vedi che qua questo grano lo devi finire” ma all’aria aperta mi accorgevo che la voce se la portava via il vento e mi venne l’idea di provare in una casa dove c’era un pozzo con l’imboccatura, “lu vucc’l”, dentro la “casedda”. Mi affaccio al pozzo e comincio a cantare: mi sembrò di stare in una grande piazza, nel pozzo non c’era acqua e la mia voce mi sembrava bellissima grazie alla risonanza. Cantai due o tre canzoni e non mi accorsi che mio padre bussava alla porta. Quando aprii fu contento e disse “bast ca a cantet”. Alli tiempi sue si cantava con l’imbuto, io invece, cantavo nella “casedda” che si sentiva benissimo, quasi come quando andai a provare dal professor di Villa Castelli che aveva una stanza appositamente sistemata per cantare (Maestro Ciraci? della banda di Ceglie Messapica?). Con questo maestro ho cantato per la prima volta sulla cassa armonica a S. Michele. Con tanto impegno e passione anche senza scuola sono riuscito a cantare canzoni che richiedono veramente una grande voce e impegno. Con Stefanino ho anche cantato “L’ave Maria” in chiesa, in tanti matrimoni ho cantato varie romanze e arie. Sono stato accompagnato da Miccoli Vincenzo alla chitarra nei primi tempi che era l’unico chitarrista a S. Michele.

Conosco la storia dei musicisti perché ho visto i film. Rimpiango i tempi quando alla televisione trasmettevano le opere con Maria Callas e tutti i grandi cantanti. Io con il registratore me li registravo tutte e me li ripassavo, mentre ora non ne fanno più e mi dispiace che il Petruzzelli è bruciato. Spero sempre che Dio mi dia la voce, almeno me le canto da solo le canzoni. Ora non c’è nessuno che impara queste canzoni, ne chi me le fa sentire. Eppure non è difficile: se uno si impegna e ha la passione. Queste sono canzoni non quelle di San Remo.

A cura dell'Associazione Culturale Movimento Circolare


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